

L’Intelligenza Artificiale fa già parte della nostra vita quotidiana ed è ormai utilizzata in più della metà delle grandi aziende italiane. Tutti conoscono le auto senza guidatore o gli assistenti vocali come Siri di Apple, Cortana di Microsoft o Alexa di Google, ma gli esempi meno noti sono molteplici. Gli algoritmi intelligenti, ovvero in grado cioè di auto-apprendere, ci suggeriscono i prodotti da acquistare, i film o i brani musicali in linea con i nostri gusti, sanno rispondere a domande dei clienti via chat, possono riconoscere il volto di una persona per abilitare un accesso, smistare documenti in base al contenuto, supportare i medici nella lettura delle immagini radiografiche e nelle diagnosi, filtrare i curricula per selezionare il candidato ideale. E così via.
Ma cosa è l’Intelligenza Artificiale? In realtà, non esiste una definizione univoca di IA e le interpretazioni possono variare a seconda della focalizzazione: da un lato, ci si può concentrare sui processi interni di ragionamento, dall’altro sul comportamento esterno dei sistemi, in linea di massima sempre prendendo come sorta di “misura di efficacia” la somiglianza o la vicinanza al comportamento umano.
Partendo da queste considerazioni, la comunità scientifica si è trovata d’accordo nel definire due differenti tipi di intelligenza artificiale, quella debole e quella forte. L’Intelligenza Artificiale debole racchiude al suo interno sistemi in grado di simulare alcune funzionalità cognitive dell’uomo senza tuttavia raggiungere le capacità intellettuali tipiche dell’essere umano. Si tratta, a grandi linee, di programmi di problem-solving in grado di replicare alcuni ragionamenti logici umani per risolvere problemi, prendere decisioni, ecc. (come nel gioco degli scacchi). Quella Forte, invece, fa rientrare al suo interno i sistemi in grado di diventare sapienti (o addirittura coscienti di sé).
I sistemi attualmente in uso rientrano dell’ambito dell’intelligenza debole, ma il progresso è costante. Ciò che caratterizza l’Intelligenza Artificiale da un punto di vista tecnologico e metodologico è il metodo/modello di apprendimento con cui l’intelligenza diventa abile in un compito o azione. Questi modelli di apprendimento sono ciò che distinguono Machine Learning e Deep Learning. Machine Learning: si tratta di sistemi che servono ad “allenare” il software in modo che correggendo gli errori possa apprendere a svolgere autonomamente un compito/attività. Il Machine Learning si sta evolvendo lungo una linea di ricerca basata sull’uso di reti neurali organizzate in più livelli di profondità e per questo detta Deep Learning. Si tratta, in quest’ultimo caso di modelli di apprendimento di recente sviluppo (dal 2012) ispirati alla struttura ed al funzionamento del nostro cervello, che emulano cioè la mente umana. Il modello matematico da solo non basta: il Deep Learning necessita di reti neurali artificiali progettate ad hoc (deep artificial neural networks) e di una capacità computazionale molto potente capace di “reggere” differenti strati di calcolo e analisi.
Secondo l’Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano esistono attualmente otto classi di soluzioni di Intelligenza Artificiale: 1) Autonomous Vehicle: si riferisce a qualunque mezzo a guida autonoma adibito a qualunque tipo di trasporto su strada, acqua o aria, come la self-driving car o il veicolo per le consegne dei pacchi a domicilio. 2) Autonomous Robot: robot, più o meno antropomorfi, in grado di muoversi, manipolare oggetti ed eseguire azioni senza intervento umano, traendo informazioni dall’ambiente circostante e adattandosi a eventi non previsti o codificati. 3) Intelligent Object: tutti quelli oggetti, dagli occhiali alla valigia, in grado di eseguire azioni e prendere decisioni senza richiedere l’intervento umano, interagendo con l’ambiente circostante tramite sensori (termometri, videocamere…) e attuatori e apprendendo dalle azioni delle persone che interagiscono con essi. 4) Virtual Assistant e Chatbot: i sistemi più evoluti sono capaci di comprendere tono e contesto del dialogo, memorizzare e riutilizzare le informazioni raccolte e dimostrare intraprendenza nel corso della conversazione. Questi sistemi sono sempre più utilizzati come primo livello di contatto con il cliente nel per l’assistenza tramite il Customer Care aziendale. 5) Recommendation: si tratta di soluzioni orientate a indirizzare le preferenze, gli interessi, le decisioni dell’utente, basandosi su informazioni da esso fornite, in maniera indiretta o diretta. 6) Image Processing: sistemi in grado di effettuare analisi di immagini o video per il riconoscimento di persone, animali e cose presenti nell’immagine. 7) Language Processing: prevede capacità di elaborazione del linguaggio, per la comprensione del contenuto, la traduzione, fino alla produzione di testi in modo autonomo. 8) Intelligent Data Processing: in questa categoria ampia rientrano tutte quelle soluzioni che utilizzano algoritmi di intelligenza artificiale su dati strutturati e non per estrarre informazioni. Ne sono esempio i sistemi per la rilevazione delle frodi finanziarie, la ricerca di pattern, i sistemi di monitoring e controllo, l’analisi predittiva (Predictive Analysis).
L’intelligenza artificiale, si deduce, che pone una serie di quesiti in merito ai brevetti. La normativa italiana in materia di brevetti è rappresentata dal D. Lgs. n. 30/2005 che costituisce il “Codice della Proprietà Industriale” (di seguito anche “Codice”). L’art. 45 del Codice dispone che il software in quanto tale ed i metodi matematici non possono essere considerati alla stregua di invenzioni e quindi non sono brevettabili. Pertanto un algoritmo in quanto tale, essendo di natura astrattamente matematica, non è brevettabile.
Tuttavia, può essere brevettabile un metodo che comporti l’utilizzazione di un algoritmo, purché venga usato per risolvere un problema tecnico. L’impasse è stata parzialmente risolta dall’Ufficio Europeo dei Brevetti (European Patent Office – “EPO”) che, all’esito della conferenza tenutasi il 30 maggio 2018 – emblematicamente intitolata “Patenting Artificial Intelligence” – ha integrato le linee guida per l’esame delle domande di brevetto con un’appendice appositamente dedicata all’ AI.
L’EPO ammette la brevettabilità delle invenzioni realizzate con sistemi di AI in presenza di alcuni condizioni fondamentali: in primis, l’invenzione deve avere un carattere tecnico, cioè deve avere caratteristiche che contribuiscano alla soluzione di un problema tecnico (rimane, quindi, l’esclusione della brevettabilità per invenzioni provenienti da tecnologie di AI volte alla soluzione di problematiche di natura commerciale); inoltre, le caratteristiche tecniche delle invenzioni devono comportare un’attività inventiva, cioè devono fornire un contributo rispetto allo stato dell’arte; tale contributo, inoltre, non deve essere “ovvio” per una persona esperta del settore. A ciò si aggiunga che la domanda di brevetto che abbia ad oggetto un’invenzione elaborata da sistemi di AI deve soddisfare rispettivamente i requisiti di chiarezza (si noti infatti che spesso la descrizione del funzionamento di un sistema di AI è di comprensione non agevole) e di sufficiente descrizione (sufficient disclosure), nel senso che un qualsiasi esperto del settore, a partire dalla lettura della domanda di brevetto, deve poter essere in grado di attuare l’invenzione.
Fonte: OPEN PROFESSIONISTI – Autore: Andrea valente Cioncoloni
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